Françoise Jacquin
L’ABBÉ MONCHANIN: À L’ÉCOUTE
D’UN PROPHÈTE CONTEMPORAIN
Parole et Silence
Il nome Jules Monchanin risuona immediatamente familiare per chi abbia anche solo accostato l’India, la sua cultura e la sua religione e ne abbia subito il fascino. Persona che sempre dimostrò una grande radicalità, Jules fin dall’infanzia dimostra una grande apertura ed interesse culturale che sfoceranno in una vita consacrata all’incontro fra fede e cultura.
La lettura del lavoro di F. Jacquin si dimostra una preziosa guida e una fonte di ricca ermeneutica, perché mette in luce i diversi passaggi, tutti capitali e intrisi di rigorosità religiosa e culturale, di Jules Monchanin: un percorso giovanile a contatto con la cultura del suo tempo e i migliori maestri ed esponenti artistici, un brillante ministero lionese (1922-1938), cui segue la decisione di scomparire nel continente Indiano relegandosi in eremo nell’ascolto della mistica indiana nell’ashram Saccidanânda che vuole qualificare l’Assoluto, il Brahman, che insieme è Sat- essere-, Cit- pensiero-, Ananda -Beatitudine.
L’abbé Jules Monchanin divenne Parama Arubi Anandam (beatitudine dell’Uno supremo senza forma), indossò la veste color zafferano segno di rinuncia e visse una vita di estrema povertà nell’ashram Saccidanânda, fondato con l’amico benedettino Henri Le Saux nel 1950: un eremo semplice e umile aperto a chiunque cercasse Dio e alla tradizione hindu rivolta all’Assoluto. “Sono nato per questo” egli affermo e l’ashram divenne la sua dimora.
Il tracciato delle pagine è sempre lineare, documentato, ma sembra scorrere ancora su quanto già si conosceva se non fosse per un particolare che si rivela essenziale e sempre compresente, sia nell’animo sia nella cultura di Monchanin: il dialogo ebraico-cristiano di cui fu notevole pioniere.
Per la prima volta vengono presentati i suoi scritti ed interventi e vengono messi in luce i passi che a lui si devono agli albori di ecumenismo che, al suo tempo, si stava aprendo.