Dilatato Corde 2:1
January – June, 2012
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VITA CONDIVISA, INSEGNAMENTO RICEVUTO

Fin dall’arrivo all’aeroporto di Osaka, sabato 17 settembre, abbiamo potuto vedere la capacità organizzativa dell’Istituto di studi Zen dell’Università buddhista Hanazon di Kyoto e dello Zen Bunka. La loro premura e gentilezza ci hanno confortato in tutti gli spostamenti del nostro viaggio e nelle giornate di permanenza a Kyoto.
 
Lo stesso giorno in taxi siamo stati portati a Sogen-ji, il primo monastero che ci avrebbe ospitato fino al giorno 21. Questo monastero, guidato dal maestro Shodo Harada Roshi, della tradizione rinzai zen ha diverse fondazioni nel mondo, anche una in Italia a Palermo : “One Drop Zendo”.
 
La scuola rinzai è una delle scuole più conosciute del buddhismo zen insieme alla scuola Soto e Obaku. Essa è caratterizzata oltre che per lo zazen (meditazione seduta) anche per l’utilizzo dei koan, quesiti senza soluzione razionale che vengono proposti dal maestro al discepolo.
 
In questo monastero, che conta una considerevole presenza di monaci e monache di diverse nazionalità, abbiamo ricevuto la prima istruzione sugli usi e costumi di vita monastica zen. Ci hanno anche regalato un abito blu, adatto per partecipare ai momenti di meditazione. La prima cosa che ci hanno insegnato è stato l’uso delle bacchette e delle 5 ciotole per mangiare. Hanno insistito molto nell’aiutarci ad essere precisi in questo rituale dei pasti come in tutti gli altri rituali della giornata. E’ stato proprio allora che ho capito lo spirito che guida tutta la vita del monaco zen: concentrazione in modo assoluto su ogni azione e cura della perfezione. 
 
Le nostre giornate avevano un orario che prevedeva la sveglia di notte alle 3,30 per essere alle 4 nella sala di preghiera per il canto dei sutra. Questo canto è fatto con grande energia legata al respiro ed eseguito a ritmo di tamburo. I sutra sono testi legati alla trascrizione dei discorsi tenuti da Siddharta Gauthama e inclusi nel Canone della scuola buddhista di riferimento. Di questi sutra cantati in giapponese e per noi tradotti in inglese ne ricordo due a titolo esemplificativo: il Kannon Gyo e Hannya
 
Il primo è un estratto del Sutra del Loto: Kannon è il Bodhisattva della compassione, insegna a realizzare la libertà attraverso la comprensione di Ku, la vacuità, niente esiste di per sé, tutte le esistenze sono interdipendenti.
 
Il secondo, Hannya Shingyo conosciuto come “Sutra del Cuore” viene recitato spesso in segno di devozione e genera meriti. Appartiene al Canone della Perfezione della saggezza e termina con il mantra: Gate, gate, paragate, parasamgate, bodhi, svaha! (Andate, andate, andate insieme all’altra sponda, completamente sull’altra sponda, benvenuto risveglio!).
 
Alle 5,30 zazen e sanzen—incontro col maestro per verificare il proprio cammino spirituale anche in base alle rispose date al koan ricevuto (l’incontro era riservato solo ai membri della comunità di Sogenji); alle 7 colazione; 7,30 pulizia giornaliera; ore 9-10 lavoro manuale: raccogliamo foglie e rastrelliamo. Domenica, in assenza di un sacerdote nel nostro gruppo, abbiamo preparato una liturgia centrata sulla Parola di Dio che, dalle 11 alle 12, abbiamo condiviso con loro.
 
Poi è arrivato il momento del pranzo che si usa consumare velocemente. Sia a colazione che a pranzo e a cena di solito si mangia sempre una ciotola di riso, una di minestra, una di verdure. A seconda dei monasteri si possono usare anche altre ciotole. Noi delle 5 ciotole avute in dotazione e in regalo ne abbiamo usato al massimo 4. Il cibo viene offerto passando tre volte anche se il terzo passaggio è solo formale.
 
Nel pomeriggio, alle 13,30 lezione e discussione fino alle 15,30; alle 16 cena; alle 17 zazen, alle 20,30 thè e alle 21, dopo il canto dei sutra finali andavamo a dormire.
 
Al martedì mattina tutto uguale fino alla colazione. Niente lavoro manuale per essere pronti all’incontro che ci sarebbe stato nel pomeriggio dove potevamo porre delle domande. Abbiamo avuto tempo per la nostra preghiera comunitaria e abbiamo condiviso le riflessioni dopo la lettura del Vangelo. Nel pomeriggio è avvenuto l’incontro con il maestro Shodo Harada Roshi e la sua Comunità. C’è stato lo scambio di doni e le risposte ai nostri quesiti. Si parla della diffusione del buddhismo zen nel mondo, in particolare in Europa ed in America e si capisce che la comunione nella preghiera e durante i momenti di zazen è possibile perché si ritiene che lo Spirito in tutte le religioni sia lo stesso anche se lo si coglie in modi differenti.
 
Mercoledì è il giorno della nostra partenza, la colazione e il pranzo sono stati serviti dai responsabili della comunità. Poi il nostro gruppo di 5 persone si è diviso. Con Suor Gaëtane e Suor Hélène sono partita per Kyoto, per proseguire il giorno dopo per il monastero femminile di Ten’ne-ji. Il viaggio è stato un po’ avventuroso perché era stato annunciato un tifone su Kyoto, ma un monaco di Sogen-ji ha proseguito il viaggio con noi fino a destinazione, per evitare rischi. A Kyoto, in albergo ho visto alla televisione i disastri provocati dal tifone.
 
Il 22 settembre, giovedì, arriviamo nel pomeriggio al monastero di Ten’ne-ji, dipendente dal monastero madre Myoshin-ji, anche questo di tradizione rinzai. Resteremo qui per 5 giorni. Siamo accompagnate dalla bibliotecaria del Zen Bunka, Naomi Maeda, che parla francese e ci propone di mangiare alla stazione ferroviaria in un ristorante ‘francese’. L’abbiamo molto apprezzato. Giunte a destinazione ci riceve Sikan-san, superiora del monastero, con tutta la comunità. Ci racconta, offrendoci il thè, che alla mattina ha visto, dopo la pioggia, un grande arcobaleno che ha interpretato come benedizione per il nostro arrivo e segno di alleanza. Ho ricordato l’episodio di Noè e mi ha molto colpito questa interpretazione comune dell’alleanza.
 
Veniamo portate nella zona dove saremo ospitate. Il monastero è nuovo, avremo a disposizione due locali, una cucina ed una sala da bagno, locale importante nella vita del monastero dove ogni giorno c’è il tempo per farsi il bagno o la doccia, anche questo velocemente secondo un rituale. Posso ammirare l’architettura di questo monastero che si integra meravigliosamente con la natura circostante. Sarà così per tutti i monasteri e templi visitati. Una giovane monaca francese ci dà le istruzioni e ci farà da assistente per tutto il periodo della nostra permanenza. Ci tranquillizza dicendo che a noi sarà concesso sbagliare senza problemi ma sentiremo che le monache presenti saranno ogni tanto riprese perché sono qui in formazione e per alcune di esse ci sarà poi l’impegno come sacerdotesse di templi. E’ richiesta a loro l’assoluta precisione rituale. Veniamo a sapere che la vita monastica non è intrapresa da tutti con una prospettiva d’impegno a vita come da noi. Molti monaci e monache trascorrono un periodo di formazione in monastero per uno o più anni e poi possono diventare sacerdoti di templi e si sposano o fanno altre scelte di vita.
 
La prima spiegazione riguarda l’orario, massima puntualità, poi si raccomanda la precisione nell’uso dei sandali, che sono distinti dalle scarpe che usiamo per camminare nelle zone fuori del monastero, e che vanno lasciati, ben allineati, sempre fuori dai locali chiusi, dove si cammina a piedi nudi. Fa tutto parte dell’esercizio di concentrazione al quale devo abituarmi perché ora capisco di più che lo zazen non è soltanto una posizione seduta, ma un’attitudine mentale che investe ogni momento della vita. Questo vale anche per l’attenzione da mettere nel modo di tenere le mani: sia camminando (la mano destra è tenuta nella mano sinistra e il pollice della mano sinistra resta dentro alla mano destra chiusa a pugno), sia nel prendere il cibo, o fare quei gesti che facilitano la comprensione di chi ci serve svolgendosi la vita in silenzio, (un gesto della mano destra alzata indica quando il cibo è sufficiente) sia nel ringraziare o salutare (mani giunte al petto e inchino del capo). L’ingresso rituale
nel zendo prevede che si entri con la gamba sinistra, che si facciano due inchini di cui un rivolto alla statua del Monju (Bodhisattva della Saggezza) ed un altro poi rivolto alla comunità. Poi ci si siede per lo zazen.
 
Rispetto al monastero precedente la variante nell’orario delle nostre giornate era legata ad un’uscita in macchina alle 5 del mattino per raggiungere il tempio di Suiryo-ji dove, mentre noi restavamo in meditazione silenziosa, le monache potevano incontrare il loro roshi (maestro riconosciuto esperto nella trasmissione del dharma: l’insegnamento del Buddha). Veloce ritorno e alle 5,30 suono del gong in legno, segnale dello spegnimento delle luci. Tempo di zazen poi colazione e dalle 8 alle 11,30 lavoro. Oltre alla cura del giardino, ci si occupa anche di pulire il terreno sopra il cimitero che è annesso al monastero, o in lavori di cucito o di cucina. Alle 12 pranzo. Abbiamo sempre trovato il tempo per dire anche le Lodi e Vespri con i nostri breviari.
 
Pomeriggio: 13,30-15:30 lavoro o lezioni: una volta di composizione floreale ikebana dove si trattava di percepire un’intima armonia nella disposizione dei fiori che segue regole fisse sia che siano 3, 5 o 7. Per esempio, nella forma più semplice con tre elementi, il ramo più lungo rappresenta il cielo, il ramo più corto la terra
Zen garden at the Ryoanji temple in Kyoto.
Zen garden at the Ryoanji temple in Kyoto.
e il ramo intermedio l’uomo e devono essere disposti in modo equilibrato nello spazio, senza alcuno sforzo apparente per rappresentare l’armonia tra le forze dell’universo; un’altra volta di calligrafia con inchiostro e pennello, Shujiang, esercizio nel copiare i singoli caratteri. La calligrafia zen è considerata una delle più antiche forme di espressione spirituale e manifesta l’equilibrio e l’armonia della mente, del cuore e dello spirito, con gesti semplici e perfetti. Quando arriverò a tracciare senza esitazione, con naturalezza ? Nel buddhismo zen ogni manifestazione artistica accentua l’importanza dello spazio vuoto, richiamo al silenzio mentale necessario alla comparsa della visione interiore. Lo avvertirò molto osservando le pitture presenti nei vari templi.
 
Al termine tempo per il bagno; alle 17,15 zazen; alle 17,30 cena; alle 18 la campana della sera; alle 18,30 gong di legno e accensione delle luci. Ore 19 incontro con il roshi al tempio Suiryo-ji fino alle 20,30, mentre noi restavamo in meditazione. Al ritorno alle 21 si andava a dormire.
 
Sabato 24 settembre è stata una giornata speciale, ci hanno lasciato dormire di più, poi, dopo la colazione, abbiamo lavorato con le monache per la preparazione dei locali, per l’accoglienza dei fedeli che venivano per partecipare alla festa religiosa. Ci sono stati momenti di preghiera e di lezione del roshi. Poi abbiamo aiutato le monache a servire il pranzo a tutti. Noi abbiamo mangiato alle 14 e poi abbiamo ancora aiutato un po’ per riordinare. Serata libera.
 
Altra esperienza particolare: lunedì 26 settembre: invece del solito lavoro manuale, dopo colazione, siamo state invitate a partecipare alla richiesta d’elemosina. Per uscire ci hanno dato sandali speciali. E loro avevano anche un abbigliamento particolare, con un cappello di paglia tipico giapponese che non permetteva di vedere chi faceva l’elemosina né all’offerente di vedere a chi la faceva. Si procedeva con un canto prolungato dell’OOOOOH, poi arrivati davanti ad un’abitazione ci si fermava e, fatto l’inchino, si ripeteva per 5 volte lo stesso canto. Se nessuno apriva si rifaceva un inchino e si proseguiva fino alla prossima porta. Le offerte erano in denaro o alimenti. Tutto veniva messo da chi offriva in una borsa che le monache tenevano al collo. Pausa per il thè alle 10 e rientro in monastero alle 11. Penso proprio che i monasteri vivano delle offerte dei fedeli, che credono alle preghiere dei monaci.
 
L’ultimo giorno siamo state portate nel pomeriggio a visitare il castello di Gifu e alla sera abbiamo avuto un amichevole confronto di vita con le monache che ci hanno offerto il thè verde ed insegnato a prepararlo. Eravamo restate insieme per tutti quei giorni condividendo nel silenzio tutte le esperienze di vita comune, ma sono stato colpita dalla generosità con la quale siamo state circondate di attenzioni, per i nostri limiti nel riuscire a tenere il passo con loro, e dalla benevolenza nei nostri confronti che ha reso piacevole sentire dire alla fine da Sikan-san: “Sarete sempre le benvenute a Ten’ne-ji.” Anche per noi l’invito a venire nei nostri monasteri era fatto con tutto il cuore.
 
Tornate a Kyoto siamo state raggiunte anche da fra Irénée e fra Matteo che erano invece stati nel monastero maschile di Manju-ji. Con loro Venerdì 30 settembre siamo partite per il monastero di Eihei-ji, il ”tempio della pace eterna” fondato da Dogen zenji, della scuola zen soto, uno dei monasteri più attivi del Giappone dalla fine del XIII esimo secolo.
 
La Scuola Zen Soto pratica la meditazione seduta (zazen) silenziosa e senza oggetto, senza la risoluzione di Koan. Si chiama anche lo zen del risveglio silenzioso. Il monastero si trova in montagna. Ospita 50 anziani e 250 allievi. Con il monaco che ci guidava abbiamo visitato tutto questo grande monastero. Nel dépliant che ci è stato dato si vede la sala dei sacerdoti (sodo) dove i monaci allievi sacerdoti praticano lo zazen. Ogni monaco ha un tatami che misura 1m per 2m e che serve per mangiare, per dormire e per lo zazen. Un’altra sala importante è quella con le statue del Buddha del passato, Amida Butsu, del presente, Shakyamuni Buddha, e del futuro, Miroku Bosatsu. E così andando avanti abbiamo visto la sala del dharma (hatto) e poi la grande cucina (daikuin) dove vengono preparati tutti i cibi vegetariani, sia per i monaci che per gli ospiti. La grande sala di ricevimento (sanshokaku) con un soffitto a quadrati, tutti dipinti con fiori e uccellini. La stanza viene usata per letture e zazen.
 
L’atmosfera è gioiosa, i monaci perseguono l’illuminazione graduale praticando la meditazione e il distacco, con grande austerità. Alla sera abbiamo avuto l’incontro con diversi roshi ai quali abbiamo potuto porre alcune domande. Io ho chiesto quale rapporto ci fosse tra lo shintoismo ed il buddhismo. La risposta è stata che entrambe le tradizioni avevano in comune l’attenzione ed il rispetto della natura. Questo ha permesso di armonizzare bene l’unione tra la religione shintoista ed il buddhismo. L’uomo non dev’essere arrogante e ignorante nel suo rapporto con la natura. Ci vuole ‘umiltà’. Lo tsunami non avrebbe fatto vittime se si fosse rispettato il limite di sicurezza nel costruire le case, senza arrivare così vicini alla spiaggia. Si confida troppo nella tecnologia.
 
Anche qui abbiamo partecipato alla mattina allo zazen. In questo monastero si tiene una posizione rivolta verso la parete. Poi abbiamo assistito alla preghiera in giapponese senza avere il testo in inglese o traslato come nel primo monastero. I ritmi sono più lenti sia nella meditazione camminata, kinhin, che nella recita dei sutra. Abbiamo ascoltato anche le domande degli allievi e le risposte del maestro (mondō). Per esempio alla domanda di un monaco è stato risposto: “Ti sembra che si stia perdendo in austerità ? Dobbiamo essere come madri che abbracciano. Il maestro è come una madre, deve tenere conto dei più deboli, ci vuole tenerezza.”
 
Tornati a Kyoto abbiamo avuto un incontro con il vescovo di Kyoto, S.E. Paul Tyoshinao Otsuka. Egli ci ha fatto visitare la cattedrale e poi ci ha invitato a cena continuando con noi la conversazione per circa due ore.
 
Lo incontreremo di nuovo al symposium. Fra i doni che ci ha fatto c’è anche un libretto con le “Linnee guida nel dialogo interreligioso per i cattolici in Giappone”. Interessanti sono le risposte ad alcune domande più frequenti che rassicurano sulla possibilità per i cattolici di partecipare, per esempio, a cerimonie funebri di altre fedi, non solo in maniera formale ma offrendo incenso e fiori, gesto comune a tutte le religioni, e pregando per il riposo del defunto. Questo è atto di carità cristiana. Così come quando si partecipa a feste rituali buddhiste o shintoiste i modi di partecipazione sono conformi al rituale di quelle tradizioni: mani giunte in preghiera, saluto con inchino, e offerta d’incenso e fiori ecc. Anche portare ad esempio uomini e donne che sono stati eminenti nella pratica religiosa delle diverse tradizioni e nel servizio alla società è lodevole, così come la Chiesa Cattolica addita i suoi santi come esempi di vita. Sono esempi lampanti di cosa s’intende dire, nei documenti di dialogo interreligioso, quando si parla della partecipazione reciproca su invito alle rispettive liturgie, raccomandando “una presenza rispettosa”.
 
* * *
 
Ci siamo poi preparati al symposium, l’incontro con molti professori dell’Università Hanazono e con monaci e monache zen, tra cui alcuni avevano avuto modo di venire in Italia sia in occasione della preghiera per la pace indetta da Giovanni Paolo II nel 1986, sia per scambi di ospitalità in alcuni monasteri italiani e in altri paesi europei. Noi abbiamo partecipato al symposium portando in sintesi le impressioni del nostro viaggio e ricevendo anche delle risposte alle nostre domande.
 
Alla domanda che avevo posto formulata così: ”Come si pone il Buddhismo zen nei confronti di Siddharta Gauthama uomo che ha realizzato l’illuminazione, il Buddha Shakyamuni che poi è visto come Amida preesistente, eterno, e venerato anche come Miroku, il Buddha del futuro ? Preciso che per me la figura di Siddharta resta quella di un uomo illuminato appunto: Buddha, potrei dire un Santo.” Il vescovo invitato a dare la spiegazione di cosa un cattolico intenda per santo ha risposto: ”E ‘un uomo che opera secondo la volontà di Dio”. Poi c’è stata la risposta di un professore alla mia domanda. Dopo aver fatto una premessa che ci sarebbe voluto molto tempo per affrontare il tema, ha detto che bisognava inquadrare storicamente l’evoluzione del pensiero che è passato dalla considerazione dell’esemplarità di vita di una persona vista come maestro ad una visione di fede che ha portato a percepire un legame con il passato e il futuro. Avrò tutto il tempo in Italia per riprendere l’argomento, confrontarmi e continuare zazen.
 
La cena di chiusura ha consentito di finire in amicizia questo straordinario soggiorno in Giappone.
 
Ho iniziato la mia vita monastica con il desiderio di fare l’esperienza di quanto Gesù chiedeva: ”Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi una cosa sola …” (Gv. 17,21). Ora posso dire che cercherò di fare anche l’esperienza che insegna Harada Roshi del monastero di Sogen-ji: “Tutti gli esseri sono uguali e permeati della stessa natura che anima tutte le cose del mondo e dell’universo, e quest’esperienza può essere vissuta come reale e non solo intellettuale.
 
 
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